Segnalazioni

26 Luglio 2024SegnalazioniA cura di Dott.ssa Maria Delia Mangiola Con le sentenze n. 139 e 140 del 22 luglio 2024, la Corte costituzionale si è pronunciata sul meccanismo del payback dei dispositivi medici: tale meccanismo opera nel caso in cui la regione o la provincia autonoma abbiano sforato il tetto di spesa per i dispositivi medici ed obbliga le imprese fornitrici degli stessi a contribuire, in parte, al ripianamento. Sentenza n. 139 del 22 luglio 2024 Con la sentenza n. 139, la Corte, su ricorso promosso dalla Regione Campania, si è occupata della legittimità costituzionale dell’art. 8, commi 1, 2, 3 e 6 del d.l. n. 34/2023, che ha istituito un fondo di 1.085 milioni di euro per il ripianamento dello sforamento dei tetti di spesa imposti alle regioni e alle province autonome per l’acquisto di dispositivi medici negli anni 2015 – 2018 (comma 1) e introdotto una riduzione del contributo da versare per tutte le imprese fornitrici che avessero desistito dall’instaurare controversie o che le avessero abbandonate (comma 3). In particolare, la Regione Campania aveva denunciato l’incompatibilità dell’art. 8, comma 3 con gli artt. 3 e 119 della Costituzione. Rilevato che la dotazione del fondo è stata determinata dal legislatore nazionale sul presupposto che tutte le imprese avrebbero rinunciato al contenzioso e, quindi, beneficiato della riduzione, la Consulta ha dichiarato incostituzionale il suddetto terzo comma, osservando che – nel caso in cui i fornitori dei dispositivi non avessero aderito alla definizione agevolata – le regioni e le province autonome avrebbero ottenuto delle risorse superiori a quelle necessarie alla copertura dell’eccesso di spesa. Di conseguenza, la riduzione del contributo è adesso prevista indistintamente per tutte le imprese fornitrici. Sentenza n. 140 del 22 luglio 2024 Con la sentenza n. 140, invece, la Corte, su rimessione del TAR Lazio, si è espressa sulla legittimità costituzionale dell’art. 9­-ter d.l. n. 78/2015, il quale ha stabilito che una quota di quanto necessario a ripianare il superamento del tetto di spesa per l’acquisto dei dispositivi medici negli anni 2015 – 2018 fosse posta a carico delle aziende fornitrici. Nell’ordinanza di rimessione, il giudice a quo segnalava, in particolare, il contrasto della suddetta previsione con l’art. 41 della Costituzione: l’attività imprenditoriale delle aziende fornitrici, che si erano aggiudicate gare pubbliche improntate al criterio di sostenibilità e serietà dell’offerta, avrebbe subito un significativo pregiudizio, posto che la compartecipazione al ripianamento avrebbe determinato un’ingente erosione degli utili e fatto venir meno la garanzia della permanenza di un margine – seppur minimo – di profitto per le stesse. La Consulta ha connotato l’onere gravante sulle imprese fornitrici in termini di “contributo solidaristico”, pienamente conforme alla Costituzione, nella misura in cui l’iniziativa economica privata può essere limitata per l’utilità sociale, nel caso di specie consistente nella razionalizzazione della spesa sanitaria e, di conseguenza, nella tutela della salute. Ribadendo come tale contributo, per effetto della succitata sentenza n. 139, sia stato ridotto per tutte le imprese fornitrici di dispositivi medici, la Corte ha ritenuto che il meccanismo del payback non possa essere ritenuto irragionevole e/o sproporzionato e ha conseguentemente dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio. Di seguito i link per la consultazione delle Sentenze: Corte Costituzionale, Sentenza n. 139 del 22 luglio 2024; Corte Costituzionale, Sentenza n. 140 del 22 luglio 2024. [...]
19 Luglio 2024SegnalazioniCon la sentenza n. 14366 del 15 luglio 2024, la Sezione III del TAR Lazio (Roma) ha affermato che le procedure di gara finanziate con fondi PNRR e PNC – o cofinanziate dai programmi strutturali dell’UE – anche se indette dopo il 1° luglio 2023 continuano ad essere soggette “all’applicazione del d.l. 77/2021 nonché ai richiami e ai rinvii che quest’ultimo compie del d.lgs. n. 50/2016 e risulta impermeabile all’applicazione delle disposizioni del nuovo codice dei contratti (il d.lgs. n. 36/2023)”. La decisione del TAR Il TAR Lazio (Roma) – dovendosi pronunciare in relazione ad un ricorso in cui veniva denunziata l’illegittimità degli atti posti a base di una procedura ristretta per l’affidamento di un appalto integrato finanziato con risorse PNRR-PNC – in via preliminare, ha avuto modo di soffermarsi sulla questione inerente al regime giuridico applicabile alle procedure indette dopo il 1° luglio 2023 finanziate con tali tipologie di risorse. A tal fine, il giudice amministrativo ha preso le mosse dall’analisi dei seguenti articoli: 225, co. 8, del d.lgs. n. 36/2023 in ragione del quale: “In relazione alle procedure di affidamento e ai contratti riguardanti investimenti pubblici, anche suddivisi in lotti, finanziati in tutto o in parte con le risorse previste dal PNRR e dal PNC, nonché dai programmi cofinanziati dai fondi strutturali dell’Unione europea, ivi comprese le infrastrutture di supporto ad essi connesse, anche se non finanziate con dette risorse, si applicano, anche dopo il 1° luglio 2023, le disposizioni di cui al decreto-legge n. 77 del 2021, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 108 del 2021, al decreto-legge 24 febbraio 2023, n. 13, nonché le specifiche disposizioni legislative finalizzate a semplificare e agevolare la realizzazione degli obiettivi stabiliti dal PNRR, dal PNC nonché dal Piano nazionale integrato per l’energia e il clima 2030 di cui al regolamento (UE) 2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018”; 226, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 36/2023 il quale stabilisce l’abrogazione del d.lgs. n. 50/2026 a far data dal 1° luglio 2023 e la sua applicazione a quei procedimenti che siano ancora in corso, ovvero quelli i cui bandi o avvisi siano stati pubblicati prima del 1° luglio 2023. Dalla lettura congiunta di tali disposizioni – ha osservato il TAR – si deduce che la disciplina dettata dal D.L. n. 77/2021 per regolamentare le procedure finanziate con risorse del PNRR e del PNC risulta immune allo “sparti acque temporale” previsto per l’entrata in vigore del d.lgs. 36/2023. E ciò in ragione della sua specialità nonché funzionalità a giungere celermente alla realizzazione delle opere programmate. In particolare, tale specialità deve essere interpretata in un senso ampio e omnicomprensivo, tale da comportare l’integrale e piena applicazione della disciplina in questione anche dopo il 1° luglio 2023. Per il TAR Roma, dunque, l’ultrattività interessa anche i rinvii e i richiami (anche impliciti) al d.lgs. 50/2016 contemplati nel D.L. 77/2021 essendo, di conseguenza, “impermeabile” all’applicazione delle disposizioni del nuovo Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 36/2023. Osservazioni conclusive La pronuncia in esame, di segno opposto rispetto al recente orientamento della giurisprudenza amministrativa, si pone in continuità con la circolare del MIT del 12 luglio 2023. Al riguardo, si segnala che l’orientamento prevalente della giurisprudenza amministrativa privilegiava l’opposta soluzione ermeneutica ritenendo che i richiami al d.lgs. 50/2016 contenuti in disposizioni legislative, regolamentari o amministrative vigenti devono intendersi dinamicamente riferiti alle corrispondenti disposizioni del d.lgs. 36/2023 o, in mancanza, ai principi desumibili dallo stesso (in termini: TAR Firenze, Sez. II, 23 aprile 2024, n. 493; TAR Roma, Sez. II bis, 3 gennaio 2024, n. 134; TAR Umbria, Sez. I, 23 dicembre 2023, n. 758) Di seguito il link per la consultazione della sentenza: TAR Roma, Sez. III, 15 luglio 2024, n. 14366 [...]
15 Luglio 2024SegnalazioniCon sentenza n. 13225 del 1° luglio 2024, la sezione Quarta del TAR Lazio (Roma) ha dichiarato irricevibile il ricorso presentato dalla società terza graduata avverso l’aggiudicazione di una gara, in quanto presentato oltre il termine di trenta giorni dalla comunicazione di cui all’art. 90 del d.lgs. n. 36/2023. Termini di impugnazione nella vigenza del previgente Codice Il TAR Lazio (Roma) ha sottolineato come, sotto il regime del previgente Codice, i.e., d.lgs. n. 50/2016, il ricorso sarebbe stato tempestivo in quanto avrebbe operato la dilazione temporale (pari a 15 giorni) del termine di impugnazione a fronte di istanza di accesso agli atti. Infatti, la giurisprudenza – e, da ultimo, l’adunanza plenaria con sentenza n. 12/2020 – aveva riconosciuto l’ammissibilità della suddetta dilazione per il concorrente che avesse presentato istanza di accesso ai documenti amministrativi relativi alla procedura di gara ai sensi dell’art. 76, comma 2. Laddove non fosse stata ammessa tale proroga, il concorrente sarebbe stato costretto a presentare un ricorso c.d. “al buio”, salvo poi integrarlo con motivi aggiunti a seguito dell’eventuale ostensione da parte della stazione appaltante della documentazione richiesta. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea aveva, però, segnalato che imporre al concorrente la proposizione di un ricorso al buio da integrare, in un secondo momento, con motivi aggiunti non avrebbe potuto rappresentare una valida attuazione del principio della tutela giurisdizionale effettiva (cfr. CGUE, sez. V, 8 maggio 2014, in causa C-161/13). La decisione del TAR Il TAR Lazio (Roma) ha, però, preso atto che, con l’introduzione del nuovo Codice, la disciplina in materia di accesso agli atti è stata fortemente innovata. Infatti, ai sensi dell’art. 36 d.lgs. n. 36/2023, la stazione appaltante è tenuta a mettere a disposizione – sin dal momento della comunicazione dell’aggiudicazione e con modalità informatiche – tutti i documenti rilevanti, ivi inclusa l’offerta dell’aggiudicatario e dei primi cinque classificati. Non vi è più, dunque, la necessità (per il concorrente che vi abbia interesse) di presentare una specifica istanza di accesso agli atti, perché questi sono immediatamente resi disponibili dalla stazione appaltante a tutti gli operatori economici che abbiano partecipato alla gara e non siano stati definitivamente esclusi. In considerazione dell’abrogazione dell’art. 76 d.lgs. n. 50/2016 e della radicale difformità della nuova procedura di accesso agli atti rispetto a quella previgente, il TAR ha ritenuto di non poter far salvi neppure gli approdi giurisprudenziali maturati nella vigenza del vecchio Codice e di dover, di conseguenza, dichiarare l’irricevibilità del ricorso proposto oltre il termine di 30 giorni dalla comunicazione dell’aggiudicazione. Di seguito il link per la consultazione della Sentenza: TAR Roma, sez. IV, 1 luglio 2024, n. 13225 [...]
5 Luglio 2024SegnalazioniIl TAR Lombardia (Milano) con la sentenza n. 1764 dell’11 giugno 2024 ha evidenziato che una situazione di conflitto di interessi può determinare l’esclusione di un operatore economico solo nell’ipotesi in cui non sia diversamente risolvibile rappresentando, dunque, una extrema ratio. In questo senso, secondo il TAR “l’esclusione dell’operatore economico può essere disposta soltanto nel caso in cui la situazione di conflitto di interessi non sia diversamente risolvibile e quindi rappresenta una extrema ratio, con la conseguenza che tale esclusione non può essere stabilita in via automatica e deve necessariamente essere preceduta da una valutazione in concreto della situazione che si viene prospettando; ciò richiede un inevitabile momento valutativo in capo alla Stazione appaltante che conserva un certo margine per porre rimedio a tale conflitto, senza che il giudice possa sostituirsi alla predetta valutazione, ove la stessa garantisca il superamento del vulnus alla corretta esecuzione dell’appalto”.   L’oggetto del giudizio Le ricorrenti, partecipanti alla gara per l’affidamento dei “Servizi di Direzioni Lavori, Coordinamento Sicurezza in fase di esecuzione e Collaudi relativi ai lavori di realizzazione e attivazione della rete Fixed Wireless Access”, suddivisa in lotti, hanno impugnato il provvedimento di aggiudicazione disposto dalla stazione appaltante in favore di un Raggruppamento Temporaneo di Imprese in cui faceva parte, in qualità di mandataria, la società già affidataria dell’appalto integrato relativo ai servizi di progettazione e lavori riguardanti la medesima rete. Tale società, nell’ambito dell’appalto integrato, si era occupata esclusivamente delle attività di progettazione. In quest’ottica, la stazione appaltante, rilevata la sussistenza di una possibile situazione di conflitto di interessi, comunicava a tale RTI l’avvio del procedimento di esclusione. Di conseguenza il RTI, al fine di risolvere la situazione di conflitto di interessi veniva autorizzato a ridistribuire internamente gli incarichi di direzione lavori, coordinamento della sicurezza e collaudo. Tuttavia avverso l’aggiudicazione insorgevano gli altri operatori economici partecipanti alla gara denunziandone l’illegittimità in ragione: della paventata insuperabilità del conflitto di interessi; della presunta inammissibilità dell’autorizzazione a ridistribuire gli incarichi tra le società costituenti il RTI aggiudicatario.   La pronuncia del TAR Lombardia La situazione di conflitto di interessi di cui alla controversia esaminata dai Giudici milanesi non era determinata dalla coincidenza, in capo a un medesimo soggetto, del ruolo di esecutore e di controllore di uno stesso lavoro, quanto piuttosto dai rapporti economici inerenti alle varie fasi di progettazione, realizzazione e collaudo da riferire ad ambo gli R.T.I. Infatti la società che si trovava in c.d. conflitto di interessi nella controversia all’esame del TAR, nel precedente appalto integrato (rispetto al quale avrebbe dovuto svolgere il ruolo di Direzione Lavori, Coordinamento Sicurezza in fase di esecuzione e collaudo) aveva svolto solo i servizi di progettazione e non i lavori di realizzazione delle opere. Tuttavia, il conflitto di interessi emergeva dal fatto che una clausola della lex specialis della gara per l’affidamento dell’appalto integrato subordinava il pagamento del saldo delle attività di progettazione al collaudo dei lavori progettati con conseguente interesse diretto dell’operatore che si sarebbe occupato della direzione dei lavori e del collaudo delle opere dal momento che poteva coincidere con il medesimo progettista. Il TAR Lombardia (Milano), evocando il disposto normativo di cui all’art. 80, co. 5, lett. d), del d.lgs. n. 50/2016, ratione temporis applicabile alla controversia de qua, ha evidenziato come l’esclusione di un operatore economico da una procedura di appalto possa essere disposta nella sola eventualità in cui la sua partecipazione costituisca una situazione di conflitto di interessi non diversamente risolvibile. Difatti, hanno precisato i giudici milanesi che come le ipotesi di esclusione rappresentano un numerus clausus anche le situazioni di conflitto di interesse devono essere interpretate in modo restrittivo e solo in extrema ratio possono comportare l’esclusione dell’operatore economico. Da ciò consegue che la stazione appaltante non può mai disporre l’esclusione in via automatica dovendo necessariamente valutare in concreto la situazione avvalendosi di prove specifiche e rigorose. In ragione di tali considerazioni, a seguito di riorganizzazione interna, è stato precluso al componente del RTI (ossia il progettista) di occuparsi delle prestazioni di direzione lavori, coordinamento sicurezza in fase di esecuzione e collaudo della gara riguardo a tutti gli impianti da lui progettati affidandole esclusivamente all’altra impresa raggruppata. Il Giudice amministrativo, dunque, ha ritenuto infondate le censure mosse dalle ricorrenti e legittima la determina di aggiudicazione adottata dalla stazione appaltante a seguito della riorganizzazione della struttura del R.T.I.   Di seguito il link per la consultazione della Sentenza: TAR Milano, sez. IV, 11 giugno 2024, n. 1764 [...]
1 Luglio 2024SegnalazioniCon la sentenza n. 462 del 25 giugno 2024, il TAR Liguria ha confermato la possibilità di ricorrere all’avvalimento c.d. di garanzia, sebbene il nuovo Codice, all’art. 104, abbia espunto qualsiasi riferimento ad esso. L’oggetto del giudizio La ricorrente, seconda graduata nella gara regionale finalizzata alla stipula di un accordo quadro per la fornitura di materiale di convivenza, ha impugnato il provvedimento di aggiudicazione, censurando, tra le altre cose, la nullità del contratto di avvalimento stipulato dall’aggiudicatario per dimostrare il possesso del requisito (classificato come “tecnico” dal Disciplinare di gara) del fatturato specifico. In particolare, la ricorrente ha eccepito la nullità del contratto di avvalimento perché: (i) privo dell’indicazione delle specifiche risorse messe a disposizione dall’impresa ausiliaria; e (ii) non avente natura di contratto oneroso. L’avvalimento Prima di esaminare la censura nel merito ed al fine di qualificare il contratto di avvalimento presentato dall’aggiudicatario, il Tribunale amministrativo adito ha chiarito la distinzione tra l’avvalimento c.d. tecnico-operativo e l’avvalimento c.d. di garanzia. Soltanto per il primo – che è finalizzato a mettere a disposizione della concorrente i requisiti tecnico-organizzativi dell’impresa ausiliaria – è necessario indicare puntualmente le specifiche dotazioni tecniche, strumentali e le risorse umane prestate. Il TAR ha altresì dato atto della stretta correlazione tra la natura del contratto di avvalimento e la natura del requisito che viene prestato dall’ausiliaria: quando viene prestato un requisito tecnico, il contratto di avvalimento viene ascritto alla species tecnico-operativa; al contrario, quando viene prestato un requisito economico-finanziario, il contratto di avvalimento è di garanzia. La decisione del TAR Sulla scorta di tali premesse, il TAR ha riqualificato il requisito del fatturato specifico – cui la lex specialis aveva attribuito carattere “tecnico” – come “economico-finanziario”, in applicazione del principio di matrice eurounitaria del favor partecipationis, e, di conseguenza, classificato il contratto di avvalimento stipulato dall’aggiudicatario come di garanzia, efficace anche senza l’indicazione delle specifiche risorse tecniche messe a disposizione dall’impresa ausiliaria. Contestualmente, però, il Giudice genovese ha preso atto della formulazione dell’art. 104 d.lgs. n. 36/2023, che non sembra contemplare l’avvalimento di garanzia, a differenza del previgente Codice (i.e., d.lgs. n. 50/2016). Infatti, il suddetto articolo definisce l’avvalimento come “il contratto con il quale una o più imprese ausiliarie si obbligano a mettere a disposizione di un operatore economico che concorre in una procedura di gara dotazioni tecniche e risorse umane e strumentali per tutta la durata dell’appalto”, prendendo, dunque, in considerazione soltanto l’avvalimento tecnico-operativo. E tuttavia, l’avvalimento di garanzia è previsto già dalla direttiva 24/2014/UE, che, all’art. 63, ammette la possibilità per l’operatore economico di fare affidamento sulle capacità di altri soggetti sia “per quanto riguarda i criteri relativi alla capacità economica finanziaria” che per “i criteri relativi alle capacità tecniche e professionali”. Pertanto, la possibilità di porre in essere un avvalimento di garanzia è tuttora ammessa in forza dell’applicazione diretta della suddetta disposizione. Trattandosi, dunque, di avvalimento di garanzia, la mancata indicazione delle risorse tecniche messe a disposizione dall’ausiliaria non comporta la nullità del contratto. Del pari infondata è stata reputata la censura relativa alla natura non onerosa del contratto: infatti, l’Adunanza Plenaria n. 23 del 2016 ha chiarito che il contratto – anche laddove non preveda un corrispettivo in favore dell’impresa ausiliaria – mantiene la sua efficacia se sussiste, comunque, un interesse patrimoniale dell’ausiliaria a concluderlo. Nel caso all’attenzione del TAR Liguria, l’interesse patrimoniale de quo era da ravvisarsi nella “occasione di incremento curricolare”, specificamente individuata nel contratto di avvalimento ed idonea ad escluderne il carattere di gratuità. Di seguito il link per la consultazione della Sentenza: TAR Liguria, sez. I, 25 giugno 2024, n. 462 [...]
21 Giugno 2024SegnalazioniI fatti di causa Il Comune di Reggio Emilia ha provveduto all’affidamento diretto ex art. 50 del d.lgs. n. 36/2023 di una concessione di valore inferiore alle soglie euro-unitarie avente ad oggetto il servizio di rimozione, trasporto, deposito e custodia dei veicoli rimossi dalle aree pubbliche o private ad uso pubblico. La determina dirigenziale per mezzo della quale è stato disposto il suddetto affidamento è stata impugnata dai ricorrenti i quali hanno denunziato, in particolare, l’illegittimità della procedura utilizzata dalla stazione appaltante in ragione della violazione dell’art. 187 del d.lgs. n. 36/2023. Infatti, secondo i ricorrenti, la predetta disposizione, in relazione all’affidamento delle concessioni di valore inferiore alle soglie euro-unitarie, imporrebbe alla pubblica amministrazione di avvalersi della procedura negoziata previa consultazione di almeno 10 operatori economici vietando, dunque, la possibilità di ricorrere all’affidamento diretto.   La pronuncia del TAR Parma Il Tar Parma ritiene fondata la censura inerente all’inapplicabilità, alle concessioni di servizi sottosoglia, della procedura di affidamento diretto ex art. 50 d.lgs. n. 36/2023, dovendo, la stazione appaltante, osservare quanto stabilito dall’art. 187 del d.lgs. n. 36/2023 Il giudice amministrativo, dopo aver evocato il dato normativo tanto dell’art. 50 del d.lgs. n. 36/2023, il quale regola le procedure di affidamento degli appalti di valore inferiore alle soglie di rilevanza europea, quanto dell’art. 187 del d.lgs. n. 36/2023 che, come anticipato, provvede a disciplinare l’affidamento delle concessioni sottosoglia, evidenzia come il legislatore, nel nuovo codice, abbia voluto riservare a queste ultime una regolamentazione autonoma rispetto agli appalti, ciò non solo per quanto attiene agli aspetti procedurali, ma anche sostanziali. Ed invero, operando un’inversione di rotta rispetto al vecchio codice, nell’art. 187 d.lgs. n. 36/2023 non vi è alcun rinvio alle disposizioni dettate per i contratti di appalto e, in particolare, non è presente alcun rinvio all’art. 50 d.lgs. n. 36/2023. Ciò posto, il Tar Parma chiarisce che l’affidamento delle concessioni sottosoglia può avvenire, a mente del citato art. 187, mediante procedura negoziata, senza pubblicazione di un bando di gara, previa consultazione di almeno 10 operatori economici, ove esistenti, oppure avvalendosi delle procedure di gara disciplinate per le concessioni dalle altre disposizioni del Titolo II, della Parte II, del Libro IV del Codice. La ratio che ispira tale procedura è senza dubbio da rinvenirsi non solo in esigenze di flessibilità e semplificazione, ma anche, e soprattutto, in esigenze pro-concorrenziali. In ragione di tali considerazioni, il giudice amministrativo adito ha ritenuto fondate le censure mosse dalla parte ricorrente, dovendosi ritenere illegittimo, nella fattispecie de qua, l’utilizzo dell’affidamento diretto, in quanto disposto in violazione dell’art. 187 d.lgs. n. 36/2023. Di seguito il link per la consultazione della sentenza. [...]
14 Giugno 2024SegnalazioniCon sentenza del 6 giugno 2024 (C-547/22 – INGSTEEL), la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha offerto chiarimenti sull’interpretazione dell’art. 2, par. 1, lett. c) e parr. 6 e 7 della Direttiva 89/665/CEE, su domanda pregiudiziale formulata dal Tribunale circoscrizionale di Bratislava. Il caso pendente dinanzi al giudice a quo La controversia pendente dinanzi al giudice a quo coinvolgeva un operatore economico escluso da una procedura di gara e la Federazione calcistica slovacca nella qualità di stazione appaltante. La CGUE, già nel 2017 (cfr. sentenza del 13 luglio 2017, in causa C-76/16), aveva decretato l’illegittimità dell’esclusione dell’operatore economico rinviando la causa al giudice rimettente affinché adottasse i provvedimenti necessari. Tuttavia, al momento del rinvio, la procedura di aggiudicazione si era già conclusa con la stipula del contratto con l’aggiudicatario. In ragione di ciò, l’operatore economico instaurava un nuovo giudizio per il risarcimento dei danni subiti a causa della perdita dell’opportunità di aggiudicarsi l’appalto. Il rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE Il tribunale competente a conoscere della domanda risarcitoria, avendo preso atto che l’art. 17, par. 1, l. n. 514/2003 della Slovacchia prevedeva la sola risarcibilità del lucro cessante – e non anche della perdita dell’opportunità di aggiudicarsi l’appalto – effettuava un (nuovo) rinvio pregiudiziale alla CGUE affinché si pronunciasse sulla compatibilità del diritto interno con la Direttiva 89/665/CEE (e, in particolare, con l’art. 2, par. 1, lett. c) e l’art. 2, parr. 6 e 7). Difatti, la Direttiva 89/665/CEE, allo scopo di incrementare la concorrenza nell’affidamento dei contratti pubblici, ha provveduto ad un’armonizzazione degli ordinamenti degli Stati membri che si sono impegnati a garantire mezzi di ricorso efficaci agli operatori economici lesi da decisioni illegittime dell’amministrazione. La decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea La CGUE ha, anzitutto, rilevato che il legislatore europeo, con la suddetta Direttiva, abbia inteso semplicemente fissare l’obiettivo generale di garantire agli operatori economici procedure di ricorso efficaci avverso le decisioni in materia di appalti pubblici senza, però, imporre agli Stati membri l’adozione di norme di un preciso contenuto al fine di conseguire tale risultato. Facendo salva la primaria responsabilità dello Stato membro nell’individuazione degli strumenti di tutela necessari, anche in ossequio al principio di sussidiarietà, la Corte ha denunciato l’incompatibilità con il diritto dell’Unione Europea della normativa slovacca, che – nel precludere all’operatore economico illegittimamente escluso da una gara il risarcimento del danno derivante dalla perdita di opportunità di risultare affidatario del contratto – contrasta sia con l’obiettivo perseguito dalla Direttiva 89/665 che con il principio di effettività della tutela. Il danno da perdita dell’opportunità di aggiudicarsi l’appalto Nella decisione in commento, i giudici del Lussemburgo non hanno dato specifica consistenza al danno da perdita dell’opportunità di aggiudicarsi l’appalto. Qualche spunto in merito può trarsi, però, dalle conclusioni rassegnate dall’Avvocato Generale Anthony Michael Collins, in cui vi è un richiamo alla sentenza del 12 febbraio 2019 (causa T-292/15) del Tribunale dell’Unione Europea (punto 41). In tale sentenza, il Tribunale ha tracciato in modo preciso la differenza tra lucro cessante e perdita di un’opportunità. Secondo la ricostruzione da esso operata, il lucro cessante è volto all’indennizzo della perdita dell’appalto stesso mentre la perdita di un’opportunità è volta ad ottenere la compensazione della perdita dell’opportunità di concludere il contratto di appalto. A differenza del primo, la seconda non comporta un pregiudizio certo e, per questa ragione, è più difficile da quantificare. In ragione di ciò, secondo il Tribunale, la perdita di un’opportunità non può equivalere al risarcimento del lucro cessante, ma deve essere determinata – nel quantum – discrezionalmente dal giudice che deve, comunque, prendere la sua decisione tenendo conto delle ragionevoli probabilità di aggiudicazione dell’operatore economico. Per la stima di tale probabilità il giudice deve considerare gli elementi concreti della fattispecie (es. posizionamento in graduatoria, esclusione di altri concorrenti, mancato annullamento della procedura di gara in autotutela, etc.). Orientamenti giurisprudenziali nazionali Una distinzione simile a quella operata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea è stata tracciata anche dal Consiglio di Stato che, con la sentenza n. 26 del 2 gennaio 2024, ha chiarito la differenza tra il danno da mancata aggiudicazione e il danno da perdita di chance di aggiudicazione. Secondo i giudici di Palazzo Spada, il primo sussiste quando “il concorrente danneggiato sia in grado di dimostrare con certezza che, in assenza del comportamento illegittimo serbato dalla stazione appaltante, si sarebbe aggiudicato la commessa”; mentre il secondo è ravvisabile quando non è possibile “accedere, in difetto di idonei elementi probatori ovvero in presenza di profili conformativi non integralmente vincolati, rimessi all’apprezzamento sequenziale della stazione appaltante, ad un giudizio di effettiva spettanza”. La giurisprudenza consolidatasi negli anni (v. da ultimo, Consiglio di Stato, sez. V, 11 aprile 2022, n. 2709) ha ritenuto che il danno da perdita di chance sia risarcibile soltanto a fronte della dimostrazione (anche presuntiva) di una seria probabilità di conseguire il vantaggio sperato, posto che la “mera possibilità” di ottenere l’affidamento si risolve in una mera aspettativa di fatto non ristorabile.   Di seguito il link per la consultazione della sentenza: CGUE, 6 giugno 2024 (C-547/22 – INGSTEEL) [...]
7 Giugno 2024Segnalazioni  La vertenza scaturisce da una gara d’appalto da aggiudicare con il criterio del minor prezzo nella quale era stata prevista l’inversione procedimentale. Il seggio di gara, dopo aver provveduto all’apertura delle offerte economiche e aver determinato la soglia di anomalia, operazioni all’esito delle quali risultava primo graduato l’operatore economico ricorrente in tale giudizio, sottoponeva alla verifica della documentazione amministrativa i primi due graduati unitamente ad un campione (pari al 5%) degli ulteriori concorrenti. A seguito dell’esclusione di alcuni concorrenti che non riscontravano la richiesta di soccorso istruttorio veniva rideterminata, in ossequio all’art. 108, co. 12, d.lgs. 36/2023, la soglia di anomalia. Per effetto del suddetto ricalcolo della soglia di anomalia si determinava una variazione del soggetto collocato al primo posto in graduatoria. Avverso gli atti della gara insorgeva la società che – prima del ricalcolo della soglia di anomalia in ragione dell’esclusione di alcuni concorrenti – si era originariamente collocata al primo posto.   L’oggetto del giudizio Secondo il ricorrente l’art. 108, co. 12, del d.lgs. 36/2023 deve essere interpretato nel senso che “una volta conclusa la fase procedimentale riguardante l’apertura delle offerte, le sopravvenienze non possono essere prese in considerazione dalla stessa Amministrazione” e, dunque, stando alla sua prospettazione, l’esito del soccorso istruttorio non avrebbe potuto incidere sulla determinazione della soglia di anomalia già effettuata. La questione oggetto del giudizio riguarda il principio di invarianza nella determinazione della soglia di anomalia, vale a dire l’individuazione del momento che segna il limite oltre il quale la soglia determinata resta insensibile a ogni modifica. Il TAR Napoli, benché abbia ritenuto il contegno dell’Amministrazione conforme alle prescrizioni di cui all’articolo 108, co. 12, d.lgs. 36/2023, avendo quest’ultima necessariamente proceduto a ricalcolare la soglia di anomalia in ragione delle variazioni avvenute prima dell’aggiudicazione, ha cionondimeno sollevato dubbi di costituzionalità in ordine alla legittimità della disposizione nelle ipotesi in cui la stazione appaltante utilizzi l’inversione procedimentale Ciò in quanto, secondo il TAR, prescelto il ricorso all’inversione procedimentale sarebbero già note tutte le offerte economiche dei concorrenti e, dunque, sarebbe calcolabile la variazione della soglia di anomalia (tenuto conto che l’effettuazione del calcolo attraverso software rende agevole prefigurare le diverse situazioni rappresentabili). Di conseguenza, il TAR Napoli, ritiene che i principi di buon andamento e imparzialità dell’Amministrazione mal si conciliano con la possibilità che l’esito di una gara pubblica possa in qualche modo dipendere dal comportamento di un concorrente (i.e. mancato riscontro alla richiesta di soccorso istruttorio). Inoltre, nel caso di inversione procedimentale, la possibilità di calcolare la soglia di anomalia in un momento in cui le offerte economiche sono già note risulta in contrasto con il principio di segretezza delle offerte economiche, quale corollario del principio di imparzialità. Secondo il TAR Napoli, infatti, ammettere la possibilità di modificare la soglia di anomalia sino al momento dell’aggiudicazione, determinerebbe una inevitabile collisione con il principio di uguaglianza e con la preservazione della libertà di iniziativa economica privata. Pertanto, ha ritenuto di rimettere alla Consulta la questione di legittimità costituzionale dell’art. 108, co. 12, d.lgs. 36/2023 per violazione degli articoli 97, 3 e 41 della Costituzione.   Di seguito il link per la consultazione: TAR Napoli, sez. I, 21 maggio 2024, n. 3280 [...]
31 Maggio 2024Segnalazioni  La vicenda contenziosa origina da una procedura indetta dall’Agenzia Del Demanio per l’affidamento dei servizi di verifica della vulnerabilità sismica, diagnosi energetica e rilievi BIM per alcuni beni immobili. L’operatore economico risultato inizialmente aggiudicatario è stato, all’esito di verifica dell’anomalia dell’offerta, escluso per aver applicato, indirettamente, un ribasso anche sui compensi dei professionisti, inderogabili e non ribassabili, incorrendo, così, in una violazione delle disposizioni normative di cui alla legge n. 49/2023 e della lex specialis che di essa faceva applicazione. L’oggetto del giudizio Il concorrente pretermesso ha impugnato il provvedimento di esclusione, affidando il ricorso a due motivi. Per quanto qui di interesse, la ricorrente ha denunziato: l’incompatibilità della regola della non ribassabilità dei compensi con il diritto eurounitario (in particolare, con il principio della concorrenza) e con le disposizioni codicistiche; la circoscrizione della disciplina sull’equo compenso alle sole ipotesi in cui la prestazione professionale sia resa da singoli liberi professionisti, che trovi fondamento in un contratto d’opera caratterizzato dall’elemento personale, alla luce del richiamo all’art. 2230 c.c. La decisione del TAR Il TAR Lazio (Roma) ha ritenuto infondato il ricorso, offrendo un’interpretazione sistematica della disciplina in materia di equo compenso. Anzitutto, ha classificato la nullità delle clausole che non prevedano un compenso equo come una nullità c.d. “di protezione”, affermandone la piena compatibilità con il diritto eurounitario. Nello specifico, richiamando un precedente del TAR Veneto (sentenza n. 632/2024), ha escluso che la disciplina sull’equo compenso possa arrecare pregiudizio alla concorrenza: infatti, il confronto competitivo semplicemente trasla sui profili accessori del corrispettivo globalmente inteso e sui profili tecnici-qualitativi dell’offerta presentata, così garantendo alla pubblica amministrazione elevati standard professionali ed una buona qualità dei servizi. Ancora, il TAR ha constatato l’inconferenza del recente arresto della CGUE (sentenza 25 gennaio 2024, in causa C-438/22), posto che la decisione resa dai giudici del Lussemburgo aveva ad oggetto tariffe minime fissate non già con norme di carattere generale adottate da autorità pubbliche (come nel caso di specie), ma con determinazioni del Consiglio superiore dell’Ordine forense, organismo che agisce alla stregua di un’associazione di imprese. Il Collegio ha, inoltre, negato che sussistesse una “ontologica incompatibilità” tra la legge sull’equo compenso ed il Codice dei contratti pubblici. Infatti, la legge n. 49/2023 trova applicazione anche rispetto alle prestazioni rese in favore della P.A. ed il Codice prevede, come regola generale per le pubbliche amministrazioni, l’applicazione del principio dell’equo compenso. Infine, il TAR ha rigettato l’ulteriore censura rilevando come l’adesione alla tesi di parte ricorrente condurrebbe ad una disparità di trattamento tra il libero professionista singolo ed i professionisti operanti nell’ambito di società, associazioni ed imprese, che potrebbero trarre un illegittimo vantaggio dalla mancata applicazione della normativa in materia di equo compenso, praticando ribassi non contendibili dai singoli operatori. Di seguito il link per la consultazione della sentenza: TAR Roma, sez. V-ter, 30 aprile 2024, n. 8580 [...]
5 Settembre 2022SegnalazioniIl principio di immodificabilità dei commissari di gara, desumibile dall’art. 77, comma 11, del d.lgs. 50/2016, non assume valenza assoluta. E’ quindi possibile sostituire i componenti della commissione giudicatrice ove si manifestino ragioni di carattere soggettivo e sopravvenute rispetto all’atto di nomina. E’ questo il principio di recente ribadito dal Consiglio di Stato con sentenza n. 7446/2022 in relazione ad una fattispecie comunque particolare, perché relativa all’ipotesi di rinnovazione della fase valutativa delle offerte a seguito di intervento in autotutela della stazione appaltante. In particolare, il Consiglio di Stato ha respinto la doglianza dell’appellante che si lamentava dell’illegittima modifica apportata alla composizione della commissione di gara (mediante la sostituzione di uno dei componenti originariamente nominati) tra la prima edizione (annullata in autotutela) e la rinnovazione della gara stessa, ripresa a partire dalla valutazione delle offerte; eventualità in apparenza vietata dall’art. 77, comma 11, del d.lgs. n. 50/2016. E’ stato infatti chiaramente affermato che “in presenza di talune ipotesi di necessità (nel caso di specie, un problema di salute n.d.r.), il singolo membro può e deve anzi essere sostituito proprio per non aggravare oltre misura l’azione amministrativa legata alla ripetizione della procedura competitiva”. Inoltre, la stazione appaltante non ha il compito di operare un sindacato “invasivo” sull’esistenza e gravità dell’impedimento in capo al componente titolare destinato a essere sostituito, dati i limiti oggettivi costituiti dalla normativa in materia di riservatezza su dati sensibili. Pertanto, come è consentito procedere alla sostituzione di un commissario nelle more della gara, parimenti è concesso nel caso di rinnovazione della stessa gara, laddove ricorrano, ovviamente, i legittimi presupposti che consentano la sostituzione. Viene peraltro precisato che, nel caso di specie, non vi era neppure l’onere di fare ricorso a componenti supplenti originariamente individuati nell’atto di nomina, atteso che a tale modalità di sostituzione si ricorre di norma per ragioni meramente estemporanee (dunque per assenze o indisponibilità limitate nel tempo), laddove nella specie l’indisponibilità del commissario non aveva simili caratteristiche La sentenza oggetto di segnalazione offre poi due ulteriori indicazioni rilevanti anche sul piano processuale. In primo luogo, laddove si voglia contestare l’insussistenza dell’impedimento del commissario sostituito (o comunque la sua inidoneità a consentirne la sostituzione), viene chiarito, in linea con i generali principi in materia di onere della prova, che il ricorrente non può limitarsi a contestazioni meramente generiche ed ipotetiche, essendo invece gravato dall’onere di dover fornire un, sia pur minimo, principio di prova circa la veridicità delle sue congetture. Inoltre, il Consiglio di Stato non ha mancato di precisare – anche a prescindere dalla sua infondatezza – l’inammissibilità della doglianza per difetto di interesse, nella misura in cui non è stato spiegato in quale modo e per quale ragione il giudizio svolto dal titolare, invece che dal suo legittimo sostituto, avrebbe dovuto condurre ad un diverso risultato circa il vaglio delle offerte tecniche formulate in sede di gara: la difesa di parte appellante non aveva in altre parole dimostrato di avere subito una concreta lesione della propria posizione soggettiva. Di seguito il link per la consultazione della sentenza oggetto di segnalazione: Consiglio di Stato, sez. V, 24 agosto 2022, n. 7446 [...]
19 Luglio 2022SegnalazioniL’ANAC deve sempre adeguatamente motivare l’utilità dell’iscrizione di una vicenda nel Casellario informatico, specie nel caso in cui si tratti di fatti non rientranti tra quelli espressamente previsti all’art. 213, comma 10, del d.lgs. n. 50/2016. In questo senso si è espresso il Tar Roma con la recente pronuncia n. 9451/2022 relativamente ad una fattispecie che trae origine dal provvedimento di decadenza dell’aggiudicazione adottato dalla stazione appaltante in ragione di una proposta migliorativa presentata dal RTI aggiudicatario in contrasto con i requisiti fondamentali ed essenziali del progetto posto a base di gara. A seguito della segnalazione, l’ANAC procedeva, infatti, all’annotazione della notizia nel Casellario da essa gestito, ritenendola utile e pertinente con le finalità proprie dello strumento e rubricandola quale risoluzione del contratto per grave illecito professionale. Le imprese componenti il raggruppamento impugnavano pertanto il provvedimento di annotazione, lamentando l’erroneità dell’operato dell’Autorità sotto un duplice profilo: per un verso, per aver qualificato i fatti in questione quale risoluzione contrattuale; per altro verso, per aver omesso di fornire una adeguata motivazione in ordine all’utilità e pertinenza dell’annotazione rispetto alle finalità del Casellario. Il Tar Roma ha accolto il ricorso, fornendo alcune utili indicazioni sul potere di annotazione dell’ANAC di cui al all’art. 213, comma 10, del Codice dei contratti pubblici. Innanzitutto, si è precisato che la presentazione di una proposta migliorativa non conforme al progetto posto a base di gara costituisce legittima causa di esclusione dalla gara, ma non può in alcun modo essere assimilata alla risoluzione per grave illecito professionale; in caso di risoluzione infatti è necessario che vi sia stata stipula del contratto e altresì una condotta dell’operatore economico tale da metterne in dubbio l’affidabilità e l’integrità. Inoltre, il provvedimento di decadenza/revoca dell’aggiudicazione non rientra tra i fatti automaticamente escludenti e che devono essere necessariamente inseriti nel Casellario informatico, bensì tra le “notizie utili” che possono essere oggetto di annotazione in ossequio ai principi di proporzionalità e ragionevolezza. Difatti, è necessario che “le vicende oggetto di annotazione siano correttamente riportate” e che “non siano manifestamente inconferenti rispetto alle finalità di tenuta del Casellario” (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 08/03/2019, n. 3098; id., Sez. I, 19/03/2019, n. 3660; id., Sez. I, 11/06/2019, n. 7595). Ebbene, soprattutto nei casi in cui la vicenda oggetto di annotazione non rientri tra quelle tipizzate dal legislatore “l’Autorità ha il dovere di valutare sia la conferenza della notizia rispetto alle finalità di tenuta del Casellario, sia l’utilità della stessa quale indice rivelatore di inaffidabilità dell’operatore economico attinto dalla annotazione”, sicché “La mera valenza di “pubblicità notizia” delle circostanze annotate come “utili” e il fatto che le stesse non impediscano, in via automatica, la partecipazione alle gare, non esonera l’Autorità da una valutazione in ordine all’interesse alla conoscenza di dette vicende, la cui emersione deve avvenire in forza di un processo motivazionale che, per quanto sintetico, non può ridursi ad una assertiva affermazione di conferenza della notizia”, Di seguito il link per la consultazione del provvedimento richiamato: T.A.R. Lazio, sede di Roma, sez. I-quater, 11 luglio 2022, n. 9451 [...]
13 Luglio 2022SegnalazioniConsiglio di Stato, sez. IV, 07/07/2022, n. 5667 Non è possibile applicare la disciplina delle riserve all’istituto della revisione dei prezzi in ragione della diversa natura dei due istituti. È questo il principio generale ribadito dal Consiglio di Stato nella recente pronuncia n. 5667/2022, che, sebbene riferita ad una fattispecie soggetta alla disciplina di cui al vecchio Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 163/2006), assume comunque rilievo anche in relazione al vigente Codice del 2016 (tanto più alla luce del recente fenomeno “caro materiali” e dell’alluvionale normativa di riferimento). In particolare, i Giudici di Palazzo Spada, confermando la sentenza resa in primo grado dal T.A.R. Calabria n. 1900/2014 e richiamando la giurisprudenza della Corte di Cassazione (n. 21035/2009), hanno evidenziato che “l’onere dell’appaltatore di inserire le proprie pretese nei confronti dell’amministrazione o dell’ente appaltante nel registro di contabilità e nel conto finale e, quindi, nel certificato di collaudo ex artt. 91 e 107 del r.d. n. 350 del 1895, riguarda le sole istanze inerenti alla contabilizzazione del corrispettivo contrattuale delle opere eseguite o da eseguire, ma non già anche le riserve per eventuale revisione dei prezzi, con riguardo alle quali ultime è sufficiente che la relativa domanda sia comunque presentata prima delle firma del certificato di collaudo, senza che sia necessaria la sua riproduzione in quel documento (cfr. Cons. St., sez. IV, 3818/2002; Cass. civ., sez. I, 16 giugno 1997, n. 5373)”. E ciò in ragione della diversa natura anche ontologica dei due istituti. Infatti, la revisione dei prezzi ha la finalità di salvaguardare l’interesse pubblico affinché le prestazioni di beni e servizi rese in favore delle pubbliche amministrazioni non siano esposte col tempo al rischio di una diminuzione qualitativa; al contempo l’istituto è posto a tutela dell’interesse dell’impresa a non subire alterazioni dell’equilibrio contrattuale al sopraggiungere di circostanze eccezionali. Diversamente, invece, l’istituto delle riserve è volto a limitare il più possibile la nascita di controversie tra le parti: all’appaltatore serve ad avanzare specifiche contestazioni su eventi da cui sarebbero derivati maggiori oneri, determinando un’alterazione della prevista contabilità di cantiere, mentre permette alla stazione appaltante di verificare con regolarità l’andamento dei costi di realizzazione dell’opera pubblica.   Di seguito i link per la consultazione dei provvedimenti richiamati: T.A.R. Calabria (Catanzaro), sez. I, 24 novembre 2014, n. 1900 Consiglio di Stato, sez. IV, 07/07/2022, n. 5667 [...]
5 Aprile 2022SegnalazioniIl Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2160/2022, è recentemente tornato ad esaminare il tema della sfera di operatività del principio di rotazione dettato dall’art. 36, comma 1, del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50/2016) per gli appalti c.d. sotto soglia, confermando che lo stesso non trova applicazione nell’ipotesi in cui la stazione appaltante abbia optato per una procedura di gara aperta. E’ stato in particolare ribadito che devono essere tenute ben distinte le ipotesi di procedura di gara aperta dalle procedure negoziate e dagli affidamenti diretti. Difatti, il principio di rotazione mira a garantire l’effettività della concorrenza nelle procedure di scelta del contraente in cui la platea degli operatori economici invitati a presentare la propria offerta è già limitata a monte, come nei casi di procedure negoziate o affidamenti diretti. Una tale esigenza non ricorre invece nelle procedure aperte. Si tratta quindi di un istituto che “funge da contrappeso rispetto alla facoltà attribuita all’amministrazione appaltante di individuare gli operatori economici con i quali contrattare”, talché “esso non trova applicazione quando l’amministrazione procede attraverso un avviso pubblico aperto” (cfr. Linee Guida ANAC del 26 ottobre 2016, n. 4, come aggiornate con Delibera 1° marzo 2018, n. 206). In conclusione, la sentenza oggetto di segnalazione ha ribadito il principio secondo cui la regola della rotazione ex art. 36, comma 1, del Codice dei contratti pubblici trova applicazione solo nell’ambito delle procedure negoziate o comunque delle procedure in cui la stazione appaltante operi una qualche limitazione in ordine al novero degli operatori tra i quali effettuare la selezione del futuro contraente (cfr. anche Cons. St., sez. V, 24/05/21, n. 3999). Di seguito il link per la consultazione della sentenza oggetto di segnalazione: Cons. St., sez. V, 24 marzo 2022, n. 2160 [...]
23 Marzo 2022SegnalazioniCon la sentenza n. 1792 del 15 marzo 2022, la terza Sezione del Consiglio di Stato si è pronunciata sulla vexata quaestio della esatta individuazione dei termini per impugnare l’aggiudicazione di una gara pubblica, fornendo una interpretazione estensiva dei principi affermati dall’Adunanza Plenaria n. 12 del 2 luglio 2020, che si discosta espressamente da un diverso e più rigoroso orientamento espresso dallo stesso Consiglio di Stato (ex multis, sez. V, 16 aprile 2021, n. 3127). In particolare, la sentenza in esame cerca di contemperare la ratio acceleratoria propria del rito appalti con il diritto di difesa, riconosciuto dall’ordinamento nazionale (art. 24 Cost.) ed eurounitario (principio di effettività della tutela). Più precisamente, secondo la terza Sezione non può trarsi dalla citata sentenza dell’Adunanza Plenaria la tesi della c.d. “sottrazione dei giorni”, in base alla quale, in relazione ai profili di illegittimità che possono emerge solo in esito all’accesso, dai 45 giorni complessivi per impugnare decorrenti dall’ostensione dei documenti (30 giorni + 15 giorni per l’accesso) dovrebbero sottrarsi i giorni che l’impresa ha atteso per presentare l’istanza di accesso. Una siffatta interpretazione porrebbe infatti in capo al concorrente un onere di proporre l’accesso agli atti non solo tempestivamente, come imposto dall’ordinaria diligenza prima ancora che dall’art. 120, comma 5 c.p.a., ma addirittura immediatamente, senza lasciargli nemmeno un ragionevole lasso di tempo per valutare la necessità o l’opportunità dell’accesso al fine dell’impugnazione. A tal proposito, il Consiglio di Stato pone l’attenzione sul diverso regime di maggior favore che opera per la pubblica amministrazione che, ai sensi dell’art. 76, comma 2 del Codice, dispone di ben quindici giorni per consentire o meno l’accesso agli atti. Pertanto, secondo l’interpretazione offerta dalla terza Sezione dovrebbe “essere permesso alla concorrente per poter chiedere l’accesso un congruo termine, eguale a quello assegnato all’amministrazione per consentirlo”. Con la conseguenza, come detto, che dal termine complessivo di 45 giorni per impugnare l’aggiudicazione (30 giorni + 15 giorni per l’accesso) non dovrebbero essere sottratti i giorni impiegati dal concorrente per la presentazione dell’istanza di accesso, naturalmente a patto che: (i) le illegittimità possano emergere solo a seguito della presa visione dei documenti oggetto di accesso; (ii) l’impresa abbia comunque presentato l’istanza di accesso entro i quindici giorni dalla comunicazione dell’aggiudicazione secondo i principi delineati dall’Adunanza  Plenaria 12/2020. Di seguito il link per la consultazione della sentenza n. 1792/2022 oggetto di segnalazione: https://www.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza?nodeRef=&schema=cds&nrg=202108651&nomeFile=202201792_11.html&subDir=Provvedimenti [...]
16 Marzo 2022SegnalazioniD.M. 17.01.2022 n. 12 – Linee Guida Collegio Consultivo Tecnico Con il Decreto in rubrica il Ministero delle Infrastrutture e Mobilità Sostenibili, in attuazione dell’art. 6, comma 8bis, L. 120/2020, ha adottato le linee guida sulle funzioni del Collegio Consultivo Tecnico (d’ora in poi CCT), al fine di garantire l’uniformità dell’operato delle stazioni appaltanti nelle commesse pubbliche aventi ad oggetto la realizzazione di lavori di valore pari o superiore alla c.d. soglia europea. In particolare, le linee guida, si sono tra l’altro occupate di individuare l’ambito applicativo dell’istituto in parola, mettendo in chiaro che in caso di appalto suddiviso in lotti è previsto l’obbligo di costituzione del CCT limitatamente ai soli lotti di valore superiore alla soglia ex art. 35 del Codice a nulla rilevando il valore complessivo dell’opera. Con ciò è stato sancito il principio dell’irrilevanza del valore complessivo della procedura di gara dovendosi, in relazione all’obbligo di nomina del CCT, avere riguardo esclusivamente al valore del singolo lotto. Tale indicazione riveste portata innovativa rispetto alle precedenti linee guida adottate sul medesimo tema del CCT dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e dall’istituto per l’Innovazione e la Trasparenza degli Appalti e la Compatibilità Ambientale (ITACA). I predetti istituti, infatti, nei rispettivi elaborati riconnettevano l’obbligo di costituzione del CCT al valore complessivo dell’opera prevedendo quale obbligatoria la nomina del Collegio anche per quei lotti di valore inferiore alla Soglia. Di rilievo, poi, l’art. 2, par. 2.3.1. il quale chiarisce che nelle commesse pubbliche di lavori superiori alla soglia l’eventuale inottemperanza o ritardo all’obbligo di costituzione del CCT costituisce violazione dell’art. 6 L. 120/2020 e che detta violazione è valutabile sia sotto il profilo della responsabilità dirigenziale ed erariale sia come comportamento contrario alla buona fede nei rapporti tra la stazione appaltante e l’operatore economico. Merita attenzione anche la disposizione di cui all’art. 4 che, dopo aver ricordato la finalità istituzionale del CCT (in ossequio all’art. 6, comma 1, L. 120/2020) ossia quella di risolvere le controversie che possono originarsi nella fase esecutiva in ottica deflattiva del contenzioso, al par. 4.1.3. ne delinea l’ambito operativo prevedendo che il Collegio medesimo non è legittimato ad intervenire autonomamente o ad emettere pareri in assenza dei quesiti di parte. L’art. 6 delle linee guida si occupa, poi, di coordinare l’ambito applicativo del CCT con gli altri rimedi di risoluzione delle controversie. In particolare, risolvendo ex ante possibili profili di sovrapposizione, si è avuto cura di chiarire che laddove le parti attribuiscano il valore di lodo contrattuale ex art. 808ter c.p.c. alle decisioni del CCT, tale risoluzione si pone come alternativa rispetto all’accordo bonario ex art. 205 D.lgs. 50/2016. Al funzionamento del CCT presiede l’Osservatorio istituito, ai sensi dell’art. 51, comma 1, del D.L. n. 77/2021, presso il Consiglio superiore dei lavori pubblici che cura, inter alia, la tenuta di un apposito elenco dei soggetti esperti che possono essere nominati presidenti dei CCT Di seguito i link per la consultazione del D.M. 17.01.2022, n. 12 e delle linee guida in precedenza adottate dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e dall’istituto per l’Innovazione e la Trasparenza degli Appalti e la Compatibilità Ambientale: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2022/03/07/22A01477/SG https://www.lavoripubblici.it/documenti2021/lvpb1/Linee_guida_Collegio_Consultivo_Tecnico.pdf http://www.itaca.org/archivio_documenti/area_appalti/Prime%20indicazioni%20ITACA%20Collegio%20Consultivo.pdf [...]
11 Marzo 2022SegnalazioniT.A.R. Lazio (Roma), sez. II, 28 febbraio 2022, n. 2339 Il Tar Lazio, seppur con riferimento ad una fattispecie regolata dall’art. 115 del vecchio Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 163/2006), si è espresso sul tema – di grande attualità – della revisione dei prezzi. Più nel dettaglio, secondo il Tar, la funzione principale del meccanismo revisionale consiste nel garantire il soddisfacimento dell’interesse pubblico ad evitare il “rischio di una diminuzione qualitativa, a causa dell’eccessiva onerosità sopravvenuta delle prestazioni stesse e della conseguente incapacità del fornitore di farvi compiutamente fronte, nonché quella di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati nel corso del tempo, tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto”. Di qui, il Tribunale puntualizza che l’istituto in questione deve trovare applicazione non solo in senso rivalutativo (in aumento), ma anche in senso svalutativo (in diminuzione) dei prezzi di cui al contratto stipulato. La pronuncia si colloca, com’è noto, in un periodo caratterizzato proprio dal drastico aumento dei prezzi dei materiali da costruzione nonché dall’entrata in vigore del decreto legge 27 gennaio 2022, n. 4, cd. “sostegni-ter” che ha introdotto importanti novità sul tema. Nella specie, l’art. 29 del DL prevede che fino al 31 dicembre 2023: le clausole di revisione prezzi di cui all’art. 106, comma 1, lett. a), primo periodo del Codice dei contratti pubblici devono essere obbligatoriamente inserite dalle stazioni appaltanti nei documenti di gara; nel fare ciò e con riferimento ai contratti relativi ai lavori – in deroga all’articolo 106, comma 1, lettera a), quarto periodo – si deve prevedere nella lex specialis (anche mediante rinvio alle disposizioni di cui al citato art. 29) che variazioni di prezzo dei singoli materiali da costruzione, in aumento o in diminuzione, sono valutate dalla stazione appaltante laddove tali variazioni risultino superiori al 5% (non più del 10%) rispetto al prezzo, rilevato nell’anno di presentazione dell’offerta, tenendo conto di quanto previsto dal decreto del MIMS di cui al comma 2, secondo periodo, dello stesso art. 29. In tal caso si procede a compensazione, in aumento o in diminuzione, per la percentuale eccedente il 5% e comunque in misura pari all’80% (non più 50%) di detta eccedenza, nel limite delle risorse a disposizione della stazione appaltante. Inoltre, affine alla disposizione poc’anzi richiamata risulta quanto previsto dall’art. 25 del recente decreto legge 1° marzo 2022, n. 17 (cd. “decreto energia”). Più nel dettaglio, sempre allo scopo di far fronte all’aumento dei prezzi di alcuni materiali da costruzione e con riferimento a tutti i contratti in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore del citato decreto (2 marzo 2022) anche a prescindere dalla data di presentazione dell’offerta: è stata prevista l’adozione da parte del MIMS (entro il 30 settembre 2022) del decreto attestante le variazioni percentuali dei prezzi dei materiali da costruzione più significativi, superiori all’8% e verificatesi nel primo semestre del 2022; di qui, con riferimento ai materiali di cui sopra, si potrà procedere alla compensazione, in aumento o in diminuzione – anche in deroga alle disposizioni di cui al Codice dei contratti pubblici –, che sarà determinata al netto delle compensazioni eventualmente già riconosciute nel primo semestre del 2022; inoltre, si procederà alle compensazioni nei limiti di quanto statuito dalla disposizione e, in particolare: la compensazione è determinata applicando alle quantità dei singoli materiali impiegati nelle lavorazioni eseguite e contabilizzate dal direttore dei lavori, ovvero annotate sotto la responsabilità del direttore dei lavori nel libretto delle misure, dal 1° gennaio 2022 fino al 30 giugno 2022, le variazioni in aumento o in diminuzione dei relativi prezzi di cui al decreto del MIMS con riferimento alla data dell’offerta, eccedenti l’8% se riferite esclusivamente all’anno 2022 ed eccedenti il 10% complessivo se riferite a più anni;  per le variazioni in aumento, a pena di decadenza, l’appaltatore presenta alla stazione appaltante l’istanza di compensazione entro quindici giorni dalla data di pubblicazione del decreto del MIMS. Per le variazioni in diminuzione, la procedura è avviata d’ufficio dalla stazione appaltante, entro quindici giorni dalla predetta data; il responsabile del procedimento accerta con proprio provvedimento il credito della stazione appaltante e procede a eventuali recuperi; ciascuna stazione appaltante provvede alle compensazioni nei limiti del 50 per cento delle risorse appositamente accantonate per imprevisti nel quadro economico di ogni intervento, fatte salve le somme relative agli impegni contrattuali già assunti, nonché’ le eventuali ulteriori somme a disposizione della stazione appaltante per lo stesso intervento e stanziate annualmente; in ogni caso, per le lavorazioni eseguite e contabilizzate negli anni precedenti all’anno 2022, restano ferme le variazioni rilevate dai decreti precedentemente adottati dal Ministero competente.   Di seguito i link per la consultazione dei provvedimenti richiamati: T.A.R. Roma, sez. II, 28 febbraio 2022, n. 2339 Decreto-legge 27 gennaio 2022, n. 4, recante “Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19, nonché’ per il contenimento degli effetti degli aumenti dei prezzi nel settore elettrico” Decreto-legge 1° marzo 2022, n. 17, recante “Misure urgenti per il contenimento dei costi dell’energia elettrica e del gas naturale, per lo sviluppo delle energie rinnovabili e per il rilancio delle politiche industriali” [...]
13 Agosto 2021SegnalazioniÈ stata pubblicata sul Supplemento Ordinario n. 26 alla Gazzetta Ufficiale n. 181 del 30 luglio 2021 la Legge 29 luglio 2021, n. 108 recante “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, recante governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure”. Il decreto-legge originario costituito da 67 articoli e 4 allegati, dopo le modifiche introdotte dalla Camera dei deputati e confermate dal Senato risulta composto da 122 articoli e 4 allegati con un notevole numero di commi aggiuntivi. Nella specie, il provvedimento si compone di due parti, la prima si riferisce alla Governance per il PNRR e la seconda alle Disposizioni di accelerazione e snellimento delle procedure e di rafforzamento della capacità amministrativa. Tra le novità apportate dal Decreto Semplificazioni bis e confermate dalla legge di conversione spiccano quelle in materia di contratti pubblici, le quali modificano sia il Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 50/2016) sia la normativa derogatoria, introdotta rispettivamente dal primo Decreto Semplificazioni (D.L. 16 luglio 2020, n. 76) e dal Decreto Sblocca-cantieri (D.Lgs. 18 aprile 2019, 32). Di seguito una sintesi di alcune delle principali novità. Pari opportunità, generazionali e di genere Il Decreto promuove fortemente l’inserimento al lavoro di giovani e donne, introducendo diverse misure funzionali a tal fine, tra le quali a titolo esemplificativo possiamo ricordare: L’art. 47, comma 2, del Decreto prevede che “gli operatori economici tenuti alla redazione del rapporto sulla situazione del personale, ai sensi  dell’articolo  46  del  decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, producono, a pena di esclusione, al momento della presentazione  della  domanda  di  partecipazione  o dell’offerta, copia dell’ultimo rapporto  redatto,  con  attestazione della  sua  conformità  a  quello  trasmesso   alle   rappresentanze sindacali aziendali e alla consigliera e al consigliere regionale  di parità ai sensi del secondo comma del citato articolo 46, ovvero, in caso di inosservanza dei termini previsti dal comma  1  del  medesimo articolo 46, con attestazione della sua contestuale trasmissione alle rappresentanze  sindacali  aziendali  e   alla   consigliera   e   al consigliere regionale di parità”.   L’art. 47, commi 4 e 5, prevede la possibilità per le stazioni appaltanti di introdurre nei bandi di gara, negli avvisi e negli inviti, come requisiti necessari e come ulteriori requisiti premiali dell’offerta, criteri orientati a promuovere l’imprenditoria giovanile, la parità di genere e l’assunzione di giovani, fino all’età di trentasei anni, e donne. Il subappalto Le maggiori modifiche sono state apportare all’art. 105 del Codice dei contratti pubblici in materia di subappalto. In particolare, il Decreto Semplificazioni tenta di risolvere la questione del limite quantitativo al subappalto, più volte dichiarato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea contrario alle Direttive del 2014. Al riguardo, l’art. 49 del Decreto prevede una rimozione in fasi: Dall’entrata in vigore del Decreto fino al 31 ottobre 2021, il subappalto non potrà superare il limite del 50% del valore complessivo del contratto di lavoro, servizi e forniture. Inoltre, è soppresso l’art. 1, comma 18, primo periodo, del decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 giugno 2019, n. 55.   L’art. 105 del Codice è modificato nei seguenti commi:   Il comma 1 diventa: “I soggetti affidatari dei contratti di cui al presente codice eseguono in proprio le opere o i lavori, i servizi, le forniture compresi nel contratto. A pena di nullità, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 106, comma 1, lettera d), il contratto non può essere ceduto, non può essere affidata a terzi l’integrale esecuzione delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto, nonché la prevalente esecuzione delle lavorazioni relative al complesso delle categorie prevalenti e dei contratti ad alta intensità di manodopera. È ammesso il subappalto secondo le disposizioni del presente articolo”. Il comma 14 diventa: “Il subappaltatore, per le prestazioni affidate in subappalto, deve garantire gli stessi standard qualitativi e prestazionali previsti nel contratto di appalto e riconoscere ai lavoratori un trattamento economico e normativo non inferiore a quello che avrebbe garantito il contraente principale, inclusa l’applicazione dei medesimi contratti collettivi nazionali di lavoro, qualora le attività oggetto di subappalto coincidano con quelle caratterizzanti l’oggetto dell’appalto ovvero riguardino le lavorazioni relative alle categorie prevalenti e siano incluse nell’oggetto sociale del contraente principale (…)”.   Dal 1° novembre 2021 verrà meno qualsiasi limite di carattere preventivo e generale al subappalto. In particolare, entreranno in vigore le seguenti modifiche all’art. 105 del Codice: il comma 2 diventa: “Il subappalto è il contratto con il quale l’appaltatore affida a terzi l’esecuzione di parte delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto. Costituisce, comunque, subappalto qualsiasi contratto avente ad oggetto attività ovunque espletate che richiedono l’impiego di manodopera, quali le forniture con posa in opera e i noli a caldo, se singolarmente di importo superiore al 2 per cento dell’importo delle prestazioni affidate o di importo superiore a 100.000 euro e qualora l’incidenza del costo della manodopera e del personale sia superiore al 50 per cento dell’importo del contratto da affidare. Fatto salvo quanto previsto dal comma 5, l’eventuale subappalto non può superare la quota del 30 per cento(al 50 per cento fino al 31 ottobre 2021) dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture. Le stazioni appaltanti, nel rispetto dei principi di cui all’articolo 30, previa adeguata motivazione nella determina a contrarre, eventualmente avvalendosi del parere delle Prefetture competenti, indicano nei documenti di gara le prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto da eseguire a cura dell’aggiudicatario in ragione delle specifiche caratteristiche dell’appalto, ivi comprese quelle di cui all’articolo 89, comma 11, dell’esigenza, tenuto conto della natura o della complessità delle prestazioni o delle lavorazioni da effettuare, di rafforzare il controllo delle attività di cantiere e più in generale dei luoghi di lavoro e di garantire una più intensa tutela delle condizioni di lavoro e della salute e sicurezza dei lavoratori ovvero di prevenire il rischio di infiltrazioni criminali, a meno che i subappaltatori siano iscritti nell’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori di cui al comma 52 dell’articolo 1 della legge 6 novembre 2012, n. 190, ovvero nell’anagrafe antimafia degli esecutori istituita dall’articolo 30 del decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 dicembre 2016, n. 229 (…)”. Il comma 5 è abrogato. il comma 7 diventa: “L’affidatario deposita il contratto di subappalto presso la stazione appaltante almeno venti giorni prima della data di effettivo inizio dell’esecuzione delle relative prestazioni. Al momento del deposito del contratto di subappalto presso la stazione appaltante l’affidatario trasmette altresì la dichiarazione del subappaltatore attestante l’assenza dei motivi di esclusione di cui all’articolo 80 e il possesso dei requisiti speciali di cui agli articoli 83 e 84. La stazione appaltante verifica la dichiarazione di cui al secondo periodo del presente comma tramite la Banca dati nazionale di cui all’articolo 81. Il contratto di subappalto, corredato della documentazione tecnica, amministrativa e grafica direttamente derivata dagli atti del contratto affidato, indica puntualmente l’ambito operativo del subappalto sia in termini prestazionali che economici”. il comma 8 diventa: “Il contraente principale e il subappaltatore sono responsabili in solido nei confronti della stazione appaltante in relazione alle prestazioni oggetto del contratto di subappalto (…)”.   Modifiche al primo Decreto Semplificazioni   L’art. 51, comma 1, a) del Decreto apporta alcune modifiche all’art. 1 del primo Decreto semplificazioni che ha introdotto un regime semplificato per l’affidamento dei contratti sotto-soglia, prorogandolo al 30 giugno 2023. In particolare, viene introdotto un sistema di affidamento parallelo, che potrà essere utilizzato a scelta della stazione appaltante in alternativa a quello di cui all’art. 36 del Codice dei contratti. Le stazioni appaltanti potranno prevedere agli affidamenti di importo inferiore alle soglie ex art. 35 Codice avviati entro il termine sopra richiamato secondo le seguenti modalità: L’affidamento diretto “puro” per lavori di importo inferiore a 150.000 euro e per servizi e forniture, ivi compresi i servizi di ingegneria e architettura e l’attività di progettazione, di importo inferiore a 139.000 euro (nell’originario decreto il limite era fissato a 75.000 euro); La procedura negoziata senza bando ex art. 63 del d.lgs. n. 50/2016, previa consultazione di almeno cinque operatori economici, ove esistenti, nel rispetto di un criterio di rotazione degli inviti, che tenga conto anche di una diversa dislocazione territoriale delle imprese invitate, individuati in base ad indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici, per l’affidamento di servizi e forniture, ivi compresi i servizi di ingegneria e architettura e l’attività di progettazione, di importo pari o superiore a 139.000 euro (prima 75.000 euro) e fino alle soglie ex art. 35 del Codice e di lavori di importo pari o superiore a 150.000 euro e inferiore a un milione di euro (prima 350.000 euro), ovvero di almeno dieci operatori per lavori di importo pari o superiore a un milione di euro (prima 350.000 euro) e fino alle soglie di cui all’art. 35 del Codice.   L’art. 51, comma 1, lett. b), c), d) prorogano fino al 30 giugno 2023 quanto previsto: dall’art. 2 del primo decreto semplificazioni in materia di contratti sopra-soglia; dall’articolo 3, commi 1 e 2, in materia di verifiche antimafia e protocolli di legalità che consentono alle pubbliche amministrazioni di corrispondere ai privati agevolazioni o benefici economici, anche in assenza della documentazione antimafia, con il vincolo della restituzione; l’articolo 5 del Decreto del 2020 in materia di sospensione dell’esecuzione dell’opera pubblica. L’art. 51, comma 1, e), del Decreto apporta alcune modifiche alla normativa in materia di collegio consultivo tecnico.   Appalto integrato L’art. 52 proroga al 30 giugno 2023 la sospensione a titolo sperimentale dell’applicabilità della disciplina dell’art. 59, comma 1, del Codice dei contratti pubblici, nella parte in cui vieta il ricorso all’appalto integrato, con le sole eccezioni dei casi di affidamento a contraente generale, project financing, affidamento in concessione, partenariato pubblico privato, contratto di disponibilità, locazione finanziaria, nonché delle opere di urbanizzazione a scomputo. Trasparenza e pubblicità In base alle nuove disposizioni contenute negli artt. 53, comma 5, e 54 del Decreto, tutte informazioni delle procedure di gara in merito alla programmazione, alla scelta del contraente, all’aggiudicazione ed esecuzione delle opere saranno gestite e trasmesse alla banca dati dei contratti pubblici dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) attraverso l’impiego di piattaforme informatiche interoperabili; di conseguenza, le commissioni giudicatrici svolgeranno le proprie funzioni utilizzando, di norma, le piattaforme e gli strumenti informatici. Inoltre, la banca dati degli operatori economici viene accorpata alla Banca dati dei contratti pubblici e verrà gestita da ANAC. All’interno della nuova banca dati, è prevista l’istituzione di un fascicolo virtuale dell’operatore economico, ove saranno conservati i dati e le informazioni essenziali ai fini della partecipazione alle procedure di gara, rendendo in tal modo più semplice le attività di verifica ed accertamento ad opera delle stazioni appaltanti. I provvedimenti sono consultabili ai seguenti link: Decreto legge 31 maggio 2921, n. 77 Legge 29 luglio 2021, n. 108 [...]
6 Maggio 2021SegnalazioniL’ANAC, con la Delibera del 16 marzo 2021 n. 219, tenendo conto delle risultanze emerse nel corso della propria attività di vigilanza, riconosce, innanzitutto, la rilevanza strategica, sotto il profilo tecnico-operativo ed economico, dei contratti di PPP. Tuttavia, nello stesso tempo, sottolinea l’estrema complessità di detti strumenti, individuando le principali disfunzioni che potrebbero vanificarne l’utilità. Professionalizzazione delle stazioni appaltanti L’Autorità, difatti, evidenzia, in primo luogo, che le maggiori criticità si riscontrano laddove l’Amministrazione interessata risulta essere di piccole dimensioni ovvero comunque priva di una consolidata competenza nella gestione delle operazioni di cui trattasi, nonché carente nella fase di progettazione a monte della procedura. Da questo punto di vista, la scarsa professionalità delle stazioni appaltanti è oggetto di preoccupazione nella misura in cui incide su tutte le fasi dei contratti di PPP ed è riconosciuta effettivamente come rilevante criticità che impedisce, o comunque rallenta, lo sviluppo dello strumento. Individuazione ed allocazione dei rischi Nella fase di predisposizione della documentazione di gara è imprescindibile, infatti, che l’Amministrazione individui correttamente i rischi di realizzazione dell’opera e della sua successiva gestione. La difettosa analisi potrebbe vanificare la stessa ragion d’essere dei contratti di cui trattasi, ossia il sostanziale trasferimento dei rischi in capo all’operatore economico privato, e inevitabilmente impedire una partecipazione consapevole da parte degli operatori presenti sul mercato. Nella fase di esecuzione del contratto di PPP, invece, la mancata individuazione delle esigenze da soddisfare e dei rischi di progettazione e/o realizzazione dell’opera incide negativamente sul compimento dell’operazione, comportando illegittime proroghe della concessione o potenziali ritardi o modifiche all’originario progetto posto a base di gara. Project Financing In ogni caso, sono le procedure di project financing ad essere il principale oggetto della Delibera in commento, e segnatamente quelle ad iniziativa privata di cui all’art. 183, co. 15, del Codice. In esse l’ANAC ha individuato un basso livello di concorrenza, derivante sostanzialmente dalla posizione privilegiata del promotore. In questa prospettiva, l’Autorità indica e suggerisce alle stazioni appaltanti alcune misure di miglioramento che potrebbero risultare di ausilio sia per una migliore strutturazione delle operazioni che per una maggiore apertura alla concorrenza: rafforzamento delle competenze professionali dell’Amministrazione, anche attraverso l’utilizzo di strumenti già previsti dal d.lgs. n. 50 del 2016, quali i servizi di committenza ovvero la consulenza degli organi centrali con detta funzione; potenziamento della piena indipendenza ed autonomia della stazione appaltante nella predisposizione degli atti di gara, eliminando il rapporto privilegiato con il promotore il cui vantaggio conoscitivo sussiste sin dalla presentazione della proposta; incentivazione all’utilizzo del dibattito pubblico ex art. 22 del d.lgs. n. 50/2016 nella fase antecedente alla procedura di aggiudicazione al fine di ridurre le lungaggini procedurali che si riscontrano per la redazione del progetto definitivo e l’acquisizione delle autorizzazioni previste dalla disciplina; promozione degli strumenti di consultazione preliminare del mercato – avviso esplorativo per manifestazione di interesse – prima di procedere all’elaborazione del progetto di fattibilità, al fine di individuare la soluzione più conveniente e funzionale al soddisfacimento dell’interesse pubblico perseguito; introduzione di una soglia di sbarramento ex art. 95, comma 8, d.lgs. 50/2016 per l’assegnazione dei punteggi tecnici. L’Autorità afferma che la soglia potrebbe assicurare sia nell’ipotesi di un’unica offerta sia in presenza di più concorrenti un miglior livello qualitativo dei progetti proposti. Delibera_219_2021 [...]
11 Febbraio 2021SegnalazioniIn caso di raggruppamento temporaneo di imprese di tipo orizzontale non è ammissibile una ripartizione paritaria al 50% delle quote di partecipazione e di quelle di esecuzione delle prestazioni oggetto di affidamento. Una tale carenza non è neppure suscettibile di sanatoria attraverso l’istituto del soccorso istruttorio. Sono questi i principi stabiliti dal T.A.R. Milano con la sentenza n. 2641 del 30/12/2020. La fattispecie riguardava una procedura aperta indetta da una Provincia per l’affidamento del servizio di ispezione degli impianti termici civili ricadenti nel territorio di propria competenza, all’esito della quale era risultato aggiudicatario un raggruppamento temporaneo di imprese in cui la mandataria e la mandante si erano ripartite in egual misura sia le quote di partecipazione al RTI che le quote di esecuzione dell’appalto. Una siffatta formula di partecipazione veniva dunque contestata da altro concorrente innanzi al TAR Milano, il quale ha ritenuto la censura fondata in virtù di quanto stabilito dall’art. 83 comma 8 del D.lgs. 50/2016: “La mandataria in ogni caso deve possedere i requisiti ed eseguire le prestazioni in misura maggioritaria”. Del resto, la corretta indicazione delle quote di partecipazione al RTI e di quelle di esecuzione delle prestazioni oggetto di appalto costituisce un elemento essenziale dell’offerta in quanto: (i) da un lato, consente alla Stazione Appaltante di verificare, in sede di ammissione alla gara, l’affidabilità dell’offerta sotto il profilo dell’idoneità e capacità professionale delle imprese che assumono le rispettive quote di partecipazione; (ii) dall’altro, cristallizza la volontà negoziale del concorrente in relazione alla modalità organizzativa sulla base della quale ha ritenuto di formulare la propria offerta. Ciò posto, il T.A.R. è stato quindi chiamato a verificare se una tale carenza potesse essere sanata mediante il c.d. soccorso istruttorio di cui all’art. 83, comma 9, del D.Lgs. n. 50/2016. La questione, in linea con la prevalente giurisprudenza (ex multis, (Consiglio di Stato, V, 12 febbraio 2020 n. 1074), è stata risolta in termini negativi, ritenendosi il citato istituto inapplicabile alla fattispecie. Come noto, infatti, il soccorso istruttorio non può essere utilizzato per porre rimedio ad errori afferenti all’offerta poiché sarebbe, altrimenti, alterato il principio di par condicio tra i concorrenti (ex multis, Cons. Stato, sez. V. 20 agosto 2019, n. 5751; V, 17 giugno 2019, n. 4046; VI, 9 aprile 2019, n. 2344). Nel caso in esame, il soccorso istruttorio avrebbe quindi consentito al raggruppamento una modifica sostanziale della propria offerta, tale dovendosi ritenere una diversa ripartizione delle quote tra le componenti il raggruppamento finalizzata a sanare l’erronea suddivisione paritaria (50% per la mandataria e 50% per la mandante) dichiarata all’atto della partecipazione della gara. Del resto, ai sensi dell’art. 83, comma 9, d.lgs. n. 50/2016, le carenze formali possono essere sanate attraverso la procedura del c.d. soccorso istruttorio ma con esclusione di quelle afferenti all’offerta economica e all’offerta tecnica. Non può essere consentita al concorrente la possibilità di modificare l’offerta successivamente al termine finale stabilito dal bando, salva la sola rettifica di semplici errori materiali o di refusi. In conclusione, il T.A.R. Milano ha accolto la censura ritenendo inammissibile la partecipazione ad una gara di un RTI quando la mandataria non abbia la maggioranza delle quote, insuscettibile peraltro di essere sanata tramite l’istituto del soccorso istruttorio. [...]
11 Gennaio 2021SegnalazioniIn linea di continuità  con l’orientamento anche di recente ribadito dalla Corte di Giustizia, il Consiglio di Stato (sentenza n. 8101 del 17 dicembre 2020), conferma la necessità di procedere con la disapplicazione del diritto nazionale sui limiti quantitativi al subappalto. La generale previsione (art. 105, comma 2, d.lgs. n. 50/2016) di un tetto massimo della quota parte subappaltabile pari al 30% dell’importo complessivo del contratto – aumentata alla misura del 40% in via transitoria e per l’effetto del decreto “sblocca cantieri” e della sua legge di conversione L. 55/2019 – non può, ad oggi, più trovare applicazione, secondo quanto affermato dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea nelle note sentenze Vitali C-63/18 del 26 settembre 2019 e Tedeschi C-402/18 del 27 novembre 2019. È questo il principio ribadito dal Consiglio di Stato, espressamente richiamando un proprio precedente che, per primo, aveva rilevato come il limite al subappalto “(30% per cento “dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture”, secondo la formulazione del comma 2 della disposizione richiamata applicabile ratione temporis, …) deve ritenersi superato per effetto delle sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea” (cfr. C.d.S., Sez. V, sent. 16 gennaio 2020, n. 389). È stato così respinto, con riferimento al caso esaminato nella fattispecie, il motivo di censura con cui la società ricorrente, seconda classificata in una procedura di gara per la concessione del servizio di ristorazione a basso impatto ambientale per mense scolastiche e centri diurni, lamentava il superamento da parte dell’aggiudicataria del limite quantitativo previsto per il subappalto. Come noto, tale limite imposto in via preventiva e generalizzata rappresenta una peculiarità tutta italiana che risponde a specifiche esigenze di ordine pubblico interno, ma che non trova espressa “copertura” a livello europeo, creando una asimmetria tra le discipline che è stata, pertanto, oggetto di plurime censure sia da parte della Commissione europea (cfr. procedura di infrazione n. 2018/2273) sia, come detto, della giurisprudenza della Corte di Giustizia. L’impostazione scelta dal Legislatore italiano è stata giudicata, in particolare, in contrasto con il principio di proporzionalità: l’apposizione di un limite generale ed incondizionato al subappalto, secondo il giudice europeo, eccede quanto necessario per il raggiungimento dell’obiettivo, impedisce una modulazione caso per caso e sacrifica eccessivamente i principi di cui l’UE si fa promotrice di libera concorrenza, partecipazione delle PMI e flessibilità nell’esecuzione dei contratti.   Si rammenti che l’adattamento della giurisprudenza interna alle citate pronunce non è stato del tutto lineare: a fronte di un orientamento maggioritario che ha ritenuto, come nel caso di specie, di disapplicare in toto la limitazione al subappalto, in quanto contraria al diritto europeo, a prescindere dalla sua consistenza quantitativa (cfr. C.d.S., Sez. VI, sent. n. 4832/2020; Sez. V, sent. n. 389/2020; TAR Firenze, sent. n. 706/2020; TAR Aosta, sent. n. 34/2020; TAR Puglia, sent. n. 1938/2019), non sono mancate pronunce, in particolare del TAR Lazio, che hanno invece ritenuto legittimo – in quanto proporzionato – l’attuale limite innalzato al 40% (TAR Roma, Sez. I, sentt. n. 4183/2020 e n. 11304/2020) e riconosciuta la discrezionalità della stazione appaltante nell’individuazione di limiti ulteriori nella legge di gara (TAR Roma, sent. 13527/2020). Pertanto, in ragione delle contrapposte posizioni giurisprudenziali sviluppatisi sul punto, un intervento urgente sulla normativa appare ormai ineludibile per evitare dubbi interpretativi e incertezze applicative su un tema tanto delicato quanto il subappalto. In questa prospettiva, il recente decreto semplificazione (d.l. n. 76/2020 convertito in l. n. 120/2020) appare una (ulteriore) occasione perduta. [...]