Articolo di Claudio Guccione : Subappalto, la censura della Corte di Giustizia UE
Come noto, la disciplina italiana sul subappalto è il frutto di una commistione tra principi comunitari e peculiari esigenze nazionali di ordine pubblico. Se da un lato, infatti, nella prospettiva europea, il subappalto è volto ad agevolare il coinvolgimento delle piccole e medie imprese, dall’altro, in Italia, è particolarmente sentita anche l’esigenza di evitare infiltrazioni di organizzazioni criminali nel mercato degli appalti pubblici.
L’art. 71 della Direttiva 2014/24/UE, in conformità rispetto a quanto previsto dal considerando 105 della medesima direttiva di riferimento, consente agli Stati membri di prevedere condizioni più rigorose nelle loro normative nazionali, elencando alcune fattispecie in tema di responsabilità solidale, di pagamenti diretti ai subappaltatori, di obblighi di trasparenza…
Sulla disposizione sono sorti fin da subito dubbi interpretativi, atteso che non era chiaro se si trattasse di una elencazione meramente esemplificativa ovvero tassativa e, dunque, se tra le restrizioni più rigorose previste dal diritto interno potesse essere ricompresa anche l’apposizione di limiti quantitativi. Sebbene sul punto con riferimento alle precedenti direttive del 2004 si fosse consolidata una giurisprudenza eurounitaria in senso negativo (cfr. CGUE, Sez. V, sent. 5.4.2017, C-298/15; Sez. III, sent. 14.7.2016, C-406/14), il parere n. 782 del 30.3.2017 del Consiglio di Stato aveva escluso che una tale soluzione potesse essere condivisa anche con riferimento alle nuove direttive del 2014. Secondo il Supremo Consesso amministrativo, infatti, la Direttiva 2014/24/UE include per la prima volta nella disciplina del subappalto finalità che prima erano proprie solo della legislazione italiana, quali la tutela giuslavoristica e la maggiore trasparenza, che giustificherebbero le limitazioni in discussione.
Il Legislatore italiano ha introdotto limiti quantitativi al subappalto a partire dall’art. 18 della Legge del 19.3.1990, n. 55, previsione che è poi confluita nelle varie leggi susseguitesi in materia di appalti pubblici e, da ultimo, nell’art. 105 del D. Lgs. n. 50/2016. Rispetto alle disposizioni previgenti, tuttavia, quella del nuovo Codice introduce un limite quantitativo generale all’istituto, estendendo ulteriormente il limite che prima era riferito alla quota parte subappaltabile relativa esclusivamente alla categoria prevalente. Tale introduzione ha dunque aperto un vivace dibattito, coinvolgendo ed interessando sia gli operatori del settore che la giurisprudenza nazionale ed europea. Sul tema si era espresso sin da subito, in occasione del parere reso sullo schema del nuovo Codice (parere n. 855 dell’1.4.2016), il Consiglio di Stato, giustificando ed approvando la scelta del Legislatore in ragione delle pregnanti ragioni sottese di ordine pubblico, di tutela della trasparenza e del mercato del lavoro.
La procedura di infrazione n. 2018/2273 della Commissione e il D.L. Sblocca Cantieri
L’istituto del subappalto è stato censurato sotto diversi profili dalla Commissione Europea nella lettera di costituzione in mora inviata alle Autorità italiane. Attraverso la procedura di infrazione n. 2018/2273, come noto, l’Europa ha segnalato le disposizioni del nostro diritto interno che sarebbero incompatibili rispetto al diritto sovranazionale, la maggior parte delle quali concerne proprio il subappalto. In particolare, sono state censurate le previsioni del divieto di subappalto a cascata, del divieto per un operatore economico di partecipare nella medesima gara sia in qualità di concorrente che di subappaltatore; l’obbligo di indicazione della terna dei subappaltatori in sede di offerta, e, per quanto qui di maggiore interesse, l’apposizione del limite quantitativo al subappalto.
Sulla scorta di tali indicazioni il decreto Sblocca Cantieri (D.L. 32/2019) ha introdotto alcune modifiche alla disciplina, il cui effetto è però stato parzialmente ridimensionato dalla Legge di conversione dello stesso, la Legge n. 55/2019. In sede di conversione, ad esempio, non è stata confermata l’abrogazione del divieto di subappalto all’impresa che abbia partecipato alla gara in qualità di concorrente (divieto che tuttora permane all’art. 105, comma 4, lett. a), D. Lgs. n. 50/2016) e, con riferimento all’indicazione della terna dei subappaltatori (art. 105, comma 6, D. Lgs. n. 50/2016), quella che era stata pensata dallo Sblocca Cantieri come una abrogazione della disposizione è stata convertita in una sospensione provvisoria fino al 31 dicembre 2020. Infine, nulla è stato stabilito in tema di subappalto a cascata. Pertanto, resta preclusa al subappaltatore la possibilità di ricorrere a sua volta all’istituto del subappalto, secondo quanto stabilito dal comma 19 dell’art. 105, D. Lgs. n. 50/2016.
Ritornando ora al tema della limitazione quantitativa della quota subappaltabile, in seguito alla Legge di conversione dello Sblocca Cantieri la disposizione di cui all’art. 105, comma 2 prevede ora che “l’eventuale subappalto non può superare la quota del 40 per cento dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture”. Rispetto all’assetto previgente, il Legislatore ha voluto momentaneamente -sempre fino al 31 dicembre 2020- innalzare la soglia del subappalto dal 30% al 40%. Fermo restando tale tetto massimo, è poi consentito alle singole stazioni appaltanti di prevedere nella lex specialis di gara anche limiti inferiori e più restrittivi se ritenuti maggiormente idonei.
La pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 26.9.2019, C-63/18
La questione del limite al subappalto è giunta al vaglio del Giudice europeo mediante l’ordinanza n. 148 del 19.1.2018 con la quale il TAR Milano ha interpellato la Corte di Giustizia dell’Unione europea affinché statuisse sulla compatibilità, rispetto al diritto europeo, della disciplina italiana che appone limiti quantitativi al subappalto. In particolare, è stata sollevata la questione pregiudiziale se “i principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli articoli 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), l’articolo 71 della direttiva 2014/24 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, il quale non contempla limitazioni quantitative al subappalto, e il principio euro unitario di proporzionalità, ostino all’applicazione di una normativa nazionale in materia di appalti pubblici, quale quella italiana contenuta nell’articolo 105, comma 2, terzo periodo, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, secondo la quale il subappalto non può superare la quota del 30% dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi, o forniture”.
La fattispecie concreta all’origine di tale rimessione riguardava l’esclusione di una società concorrente che, ricorrendo all’istituto del subappalto, aveva superato il limite del 30% previsto dal comma 2 dell’art. 105 del D. Lgs. n. 50/2016. La ricorrente, tra le varie censure promosse avverso il provvedimento di esclusione, contestava che tale limite quantitativo non potesse ritenersi conforme rispetto alla normativa dell’Unione Europea.
I Giudici milanesi hanno anzitutto rammentato che l’art. 71 della Dir. 2014/24/UE non contempla esplicitamente alcun limite di carattere quantitativo e, dopo aver ripercorso la giurisprudenza europea già formatasi nella vigenza delle direttive del 2004, hanno dubitato della legittimità della disposizione in esame. Ciò, in particolare, alla luce del principio di proporzionalità che giustificherebbe restrizioni alla libertà di stabilimento e alla prestazioni dei servizi (artt. 49 e 56 TFUE) solo nella misura in cui siano idonee a garantire l’obiettivo e non vadano oltre a quanto necessario a tal fine.
Interpellata sul tema, la Corte di Giustizia ha risposto con la sentenza del 26 settembre 2019, definitivamente chiarendo che “La direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, come modificata dal regolamento delegato (UE) 2015/2170 della Commissione, del 24 novembre 2015, deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che limita al 30% la parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi”. Tale conclusione è motivata sostanzialmente sulla base della violazione del principio di proporzionalità, atteso che una restrizione come quella in esame eccede quanto necessario per il raggiungimento dell’obiettivo di contrasto del fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata.
Ciò che si censura è l’apposizione di un limite generale ed astratto al subappalto, che non tenga conto del settore economico interessato dall’appalto, della natura dei lavori o dell’identità dei subappaltatori. Secondo la Corte, si tratta di un divieto troppo generico che impedisce una valutazione caso per caso da parte della stazione appaltante, fino all’assurdo paradosso che la stessa sia costretta ad una applicazione incondizionata di tale limite, anche in quei casi in cui, in seguito a verifiche, riscontri che la misura non sia necessaria al fine di contrastare la criminalità organizzata.
Per raggiungere l’obiettivo perseguito dal Legislatore italiano sarebbero sufficienti anche misure meno restrittive quali, ad esempio, quelle contemplate dall’art. 71 della Direttiva 2014/24/UE che dispone, tra l’altro, che le amministrazioni aggiudicatrici possano verificare o essere obbligate dagli Stati membri a verificare se sussistano motivi di esclusione dei subappaltatori relativi, in particolare, alla partecipazione a un’organizzazione criminale, alla corruzione o alla frode. Inoltre, sempre secondo la Corte, il sistema italiano già dispone di strumenti idonei e sufficienti a contrastare il fenomeno quali le numerose attività interdittive espressamente volte ad impedire l’accesso alle gare pubbliche alle imprese sospette di condizionamento mafioso o comunque riconducibili alle principali organizzazioni criminale del Paese.
Conclusioni
Alla luce della pronuncia della CGUE appena commentata, la disposizione di cui all’art. 105, comma 2, D. Lgs. n. 50/2016 non sembra più trovare applicazione: infatti, sia i giudici nazionali che gli operatori del settore sono tenuti a disapplicare le disposizioni del diritto interno che siano in contrasto rispetto ai principi europei. Tuttavia, non può tacersi che non tutti gli operatori del settore sono convinti di tale conclusione: vi è chi propende, infatti, per un approccio più cautelativo, di ferma adesione al dettato normativo fintantoché non intervenga una modifica, pur esponendosi poi al rischio di una successiva pronuncia demolitoria del giudice amministrativo.
Altro profilo di incertezza concerne i subappalti relativi a procedure bandite prima della sentenza della Corte C-63/18 che devono oggi essere autorizzati. In queste ipotesi, l’orientamento più ragionevole, in virtù anche del principio del tempus regit actum, ritiene che non sia possibile disapplicare i limiti in sede di autorizzazione. Ciò in quanto la presenza del limite nella fase di formulazione delle offerte ha certamente condizionato la partecipazione degli operatori economici alla gara e, dunque, disapplicare i limiti in una fase successiva minerebbe alle esigenze di tutela ex post della concorrenza. Difatti, sarebbe discriminatorio autorizzare oggi un concorrente a subappaltare oltre il 40 % quando, magari, relativamente alla medesima procedura di gara, un operatore economico si era astenuto dal partecipare, impossibilitato per la sussistenza al tempo di detto limite.
Infine, altro tema concerne l’applicabilità dell’ulteriore limite previsto del comma 5 dell’art. 105, secondo cui “per le opere di cui all’art. 89, comma 11, e fermi restando i limiti previsti dal medesimo comma, l’eventuale subappalto non può superare il trenta per cento dell’importo delle opere e non può essere, senza ragioni obiettive, suddiviso”. Difatti, sebbene il TAR Milano nelle sue premesse iniziali considerasse anche tale previsione, la stessa poi non è stata oggetto di specifico quesito alla CGUE che, conseguentemente, non si è espressa sul punto. Nel silenzio del giudice europeo potrebbero, quindi, aprirsi due opposti scenari con riguardo agli specifici limiti previsti per le categorie cd. SIOS superspecialisitiche di cui all’art. 89, comma 11: considerare anche questi soppressi ovvero ancora applicabili. Certo è che la Corte si è pronunciata espressamente solo sul limite generale di cui al comma 2 e che alla base del limite previsto per le SIOS non vi sono motivazioni “antimafia” bensì esigenze tecniche.
In conclusione, è evidente la necessità un tempestivo intervento del Legislatore che, adeguando la disciplina del Codice, riesca ad offrire risposte ai diversi profili problematici. Nelle more di questo intervento sarebbe comunque auspicabile che l’ANAC o il MIT fornissero dei chiarimenti per risolvere le incertezze di questa fase transitoria.
Osservatorio normativo
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT)
– Decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 7 agosto 2019, recante “Attuazione degli interventi previsti dall’articolo 1, comma 1019, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, per il «ristoro delle maggiori spese affrontate dagli autotrasportatori in conseguenza del crollo di un tratto del viadotto Polcevera dell’Autostrada A10, nel Comune di Genova, noto come ponte Morandi». (19A06237)”, pubblicata in G.U. Serie Generale, n. 237 del 9 ottobre 2019;
– Individuazione delle reti ferroviarie isolate dal punto di vista funzionale dal resto del sistema ferroviario (19A06302)”, pubblicata in G.U. Serie Generale, n. 239 dell’11 ottobre 2019.